Un giorno tra i pazzi
- Redazione
- 23 ott 2022
- Tempo di lettura: 2 min
ANTEPRIMA: Solo chi ha vissuto sa e può esprimersi in proposito. E infine, forse, farne parola con gli altri, come ho deciso di fare io.

Sveglia alle 7. Terapia alle 7:30. Colazione 8. Visite con i medici dalle 9. Telefono dalle 10 alle 11. Pranzo alle 12. Visite dei parenti dalle 13 alle 14 e dalle 17 alle 18. Terapia alle 15. Cena alle 18:30. Terapia alle 21. Questa è la scansione delle attività di una persona che si trova ricoverata presso l'SPDC, il servizio psichiatrico di diagnosi e cura. È lì che stanno i matti, volontariamente entrati in quel luogo semi sconosciuto ai più o ricoverati con la forza con un TSO. Ma cosa intendiamo quando parliamo di pazzi? Ve lo dico io. Ci riferiamo a delle persone, persone che soffrono, tantissimo. Talmente tanto che hanno bisogno di un periodo di pausa dalla loro realtà, prima di reinserirvisi come se nulla fosse accaduto. Io ci sono stata per ben tre volte e di pazzi ne ho visti molto pochi. Ho incontrato persone fragili, più raramente ho conosciuto amici. La scaletta che ho presentato inizialmente non menziona le sonore risate scambiate con pazienti e personale, le sigarette fumate tra una chiacchiera e l'altra nella sala fumatori per ammazzare la noia e il tempo, le attese per l'ambito caffè mattutino, a volte offerto da qualcuno, altre volte negato perché “ne hai già preso uno”. Non vi ho parlato della rabbia nel vedersi allontanare il giorno delle dimissioni, la rabbia verso i medici che non capiscono, la rabbia verso sé stessi perché per l'ennesima volta non ce l'abbiamo fatta da soli e abbiamo avuto bisogno di aiuto. Non ho menzionato le crisi, i pianti, le urla, la disperazione e la speranza di uscirne come una persona migliore. Solo chi ha vissuto sa e può esprimersi in proposito. E infine, forse, farne parola con gli altri, come ho deciso di fare io.
- ARTICOLO PUBBLICATO ANONIMAMENTE PER VOLONTÀ DELLO SCRITTORE -
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