Flora aliena in Italia, costi e benefici.
- Cristian Bucciarelli
- 23 ott 2022
- Tempo di lettura: 4 min
Sabaudia. Tra le alte dune coperte di ginepri spuntano, in primavera, grandi fiori dai colori
decisi, che variano dal giallo al magenta. Definiscono l’ambiente costiero rendendolo
grazioso e vivace ma ahimè, non tutto il bello apporta necessariamente dei benefici. I fiori in
questione appartengono a due specie, la prima è il Carpobrotus edulis , la seconda il
Carpobrotus acinaciformis. Esse vengono spesso confuse sotto il nome volgare di” Fico degli
Ottentotti”, che richiama la loro origine dalla regione floristica Capense, in Sudafrica.
La domanda sorge però spontanea: come hanno fatto le due specie a diffondersi dal Sudafrica fino alle coste del mediterraneo? La risposta è alquanto semplice, per mano dell’uomo...
Tutto ha inizio nel dopoguerra, con il boom economico degli anni ‘60 cominciano sempre più ad essere coltivate come piante ornamentali sulle tante villette che nascono in questi anni tra
le dune ancora selvagge. In un primo momento la situazione è ancora sotto controllo, le due
specie inoltre forniscono sostegno alle fragili dune. Cosa cambia allora con il passare del
tempo? La differenza sostanziale sta nel fatto che le due specie si sono acclimate
perfettamente, ovvero sono riuscite ad ambientarsi a un clima diverso, seppur simile a
quello di partenza, raggiungendo una fitness alta, dove per fitness non si intende il
benessere delle specie ma la loro capacità riproduttiva attraverso la produzione di semi. Al
giorno d’oggi, la specie Carpobrotus edulis risulta, nella regione Lazio, una neofita
naturalizzata, ovvero una pianta alloctona introdotta nel territorio dopo la scoperta
dell’America, a differenza di una qualsiasi archeofita introdotta già al tempo dei romani,
come il simbolico pino di Roma (Pinus pinea, che in quanto naturalizzata non risulta essere un pericolo per la flora mediterranea. Il rischio maggiore proviene dalla specie Carpobrotus
acinaciformis classificata come neofita invasiva, con la differenza che questa riesce a
danneggiare le specie native della macchia mediterranea, impedendone la crescita con
l’invasione di territorio utile alla crescita di altre specie endemiche, quali lo splendido
Pancratium maritimum.

Vi è però un grande beneficio che mette in dubbio la loro
intromissione nel paesaggio mediterraneo; oltre il semplice fenotipo che crea un gradevole
contrasto cromatico ai nostri occhi, è la stabilità arrecata al terreno, opera del fitto reticolo
radicale. Non dobbiamo però farci ammaliare dal loro fascino e lasciare le specie poiché
belle ed utili, è necessario limitare la loro diffusione e ristabilire la successione ecologica di
specie vegetali autoctone. La successione ecologica non è altro che il susseguirsi dal mare
all’entroterra (nel caso di Sabaudia) di specie pioniere, fragili, effimere, come Ammofila
arenaria che crea un substrato fertile per gli arbusti di Juniperus macrocarpa e che a loro volta insieme ad eriche e lentischi attuano il terreno migliore per la foresta retrodunale. L’assenza
di specie pioniere come Ammofila, Pancratium etc. arresta la successione, rendendo, con il
passare degli anni, aride e spoglie le dune. Un’altra neofita rilevante per la sua pericolosità, introdotta dalla Cina sud- orientale come pianta da giardino a fine ‘800, è l’Ailhantus altissima, nota ai più come “albero del paradiso” per via della capacità di crescita impressionante (1metro in altezza ogni anno), come ad alludere possa raggiungere il paradiso in pochi anni. Come le due specie del genere Carpobrotus, anche l’ailanto fornisce
grande stabilità al terreno, formando enormi reticoli radicali che, a differenza dei
Carpobrotus, sono difficilmente estraibili anzi, poiché la specie sembra rinforzarsi ogni
qualvolta si va a tagliare il fusto emergente dal terreno, bisogna iniettare diserbante
direttamente nel fusto attraverso delle siringhe. Il risultato però non è garantito in quanto
l’Ailhantus altissima produce più fusti contemporaneamente dal reticolo radicale, creando
una fitta boscaglia che dall’esterno sembra un insieme di individui mentre se si va ad
estrarre si nota che questi hanno radici in comune, quindi sono da considerarsi un individuo
unico. La specie inoltre ha la capacità di dividersi in più esemplari, inizialmente uniti tramite
radici, per questo motivo risulta difficile anche estirparla con il diserbante poiché è
necessario iniettarlo minuziosamente in ogni piccolo fusticino dell’individuo.

Torna di nuovo il beneficio dell’enorme stabilità fornita al terreno mentre il costo da pagare è la completa
distruzione dell’ecosistema in cui viene introdotto. Spesso l’albero del paradiso cresce tra le
fessure dei monumenti, condannandoli alla rovina con il passare di pochi anni. Le tre specie
aliene, sopracitate, non sono le uniche introdotte nel territorio italiano...Delle circa 9000
specie vegetali della penisola italiana, quasi 1600 sono xenofite (sinonimo di aliene). Non
tutte però arrecano dei danni alla flora italiana, spesso si adattano molto bene e riescono a
crescere senza creare danni alle specie autoctone, alcune volte invece vogliono prevalere
sulle native. Bisogna fare un’ulteriore distinzione tra le alloctone invasive a noi utili, quali il
fico d’india (Opuntia ficus-indica), Robinia pseudoacacia, pianta mellifera su cui si basa la
mielocoltura di molte regioni italiane, tornando infine alle aliene dannose, il cui costo è
nettamente superiore dei benefici. Qual è allora il criterio da utilizzare? Bisogna eliminarle
del tutto o sfruttarle a nostro piacimento, come ad esempio in luoghi ad alto rischio
erosione?

Carpobrotus edulis (foto di Actaplantarum)
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