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Primo amore

  • Giacomo Rinaldi
  • 23 ott 2022
  • Tempo di lettura: 2 min

Presentato al Festival internazionale del cinema di Berlino (2004), dove ha ottenuto una candidatura all’Orso d’Oro e il riconoscimento alla migliore colonna sonora di Banda Osiris, Primo Amore, tratto dal romanzo autobiografico Il cacciatore di anoressiche di Marco Mariolini, è co scritto e diretto da Matteo Garrone, alla sua opera seconda dopo l’esordio alla regia con “L’imbalsamatore” del 2002.


Trama

Vittorio (Vitaliano Trevisan), un orafo veronese dal carattere freddo e silenzioso, è in terapia per una particolare parafilia: è ossessionato dalle donne molto magre, al limite dell’anoressia. Incontra ad un appuntamento al buio Sonia (Michela Cescon), la quale non rientra ancora nei suoi “canoni estetici” e, proprio per questo, deciderà di scendere di peso. Vittorio, tuttavia, non si limiterà a meri consigli nutrizionali, e i risvolti saranno dannosissimi.


Recensione

L’opera di Garrone gira attorno all’ossessione di Vittorio di far dimagrire Sonia fino all’anoressia. Questo persistente interesse viene mostrato già fin dalle primissime battute del film, dove Vittorio conosce Sonia dicendole di aspettarsela “più magra”. È quel chilogrammo di troppo (che in realtà non c’è su di lei), quell’ossessionante idea di trovare attraente le ossa alle forme; ed è proprio da questo che riparte la protagonista, che deciderà di sottoporsi a una dieta composta solo da verdure e proibitiva di carboidrati e zuccheri.

Il primo sorriso di un depresso e tormentato Vittorio avverrà dopo più di mezz’ora dall’inizio, proprio quando i due protagonisti annotano la perdita di peso di lei: lui è contento, è felice, la sua “fame” è stata appagata. Ma il piacere è momentaneo, e subito attende la prossima occasione in cui la donna dovrà mettersi sulla bilancia. Non c’è limite alla dipendenza, all’ossessione, e nonostante la compagna sia arrivata a registrare il peso inammissibile di 42kg, Vittorio chiede ancora un ulteriore sforzo. La domanda che allora sorge spontanea è che cosa sia il desiderio, cosa attrae o meno noi esseri umani, ed esiste un limite a questo desiderio?

Il limite potrebbe (e dovrebbe) essere imposto da Sonia, che è proprietaria del suo corpo e che non deve permettere a nessuno di gestirlo. Ma non è così: per amore e soprattutto per compiacere il proprio uomo, intraprende questa competizione contro se stessa, i suoi bisogni e istinti, con i quali inizialmente sembra portarsi in vantaggio, ma che successivamente avranno la meglio su di lei, come era prevedibile: mangerà infatti di nascosto dal suo compagno appena quest’ultimo si assenta e si umilierà, gridando e dimenandosi, davanti a tutta la brigata di cuochi per aver assaggiato le fettuccine del compagno. Non si riconosce più Sonia: da una ragazza simpatica, dolce e chiacchierona, pian piano si delinea un’ombra di Vittorio, a cui ubbidisce a qualsiasi comando culinario e non solo. Piange spesso e apparentemente senza motivo, non contraddice mai l’uomo e lo segue in qualsiasi azione. L’amore è diventato spaventoso, una vera e propria sottomissione di Sonia a Vittorio, da schiavo a padrone.

Dopo il successo de “L’imbalsamatore”, il regista romano torna ad affrontare l’ancestrale e irrisolto rapporto tra essere umani e le numerose strade a cui può portare. L’amore di Vittorio e Sonia è tossico, distruttivo, devitalizzante e spersonalizzante per lei, deviato e sbagliato per lui.


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