Perché abbiamo ancora bisogno della Filosofia
- Riccardo Ardovini
- 11 apr 2022
- Tempo di lettura: 3 min
XXI secolo. Parole d’ordine: rivoluzione digitale, globalizzazione, interconnessione. Obiettivi: ottimizzazione della produzione, incremento, crescita. In un simile contesto, le humanae litterae sembrano ormai il pallido riflesso di un’epoca lontana, ormai anacronistica. La filosofia vive sempre più in ostaggio di salotti, di conferenze e convegni specialistici; tutt’al più, la si può chiamare in causa quale sinonimo di “chiacchiere”, di “opinioni vaghe e divaganti”, di “discorsi fuori dal mondo”, pronunciati magari dopo qualche bicchiere di troppo. In fondo, si sa, “siamo tutti un po’ filosofi”. Si costituiscono così due schieramenti contrapposti: da un lato, coloro che ritengono che la filosofia costituisca ormai un retaggio del passato, una sorta di patrimonio da custodire così come si farebbe con un fossile; non di rado, costoro ritengono che sia ormai giunto il momento di abbandonarla, di metterla da parte per fare spazio al “nuovo”. Dal lato opposto, vi sono invece coloro che ritengono come la pratica della filosofia costituisca un requisito essenziale per lo “stare nel mondo”, sostenendo dunque come la filosofia sia tutt’altro che morta. Ovviamente, tale distinzione non rappresenta altro che una fin troppo banale semplificazione: ognuno dei due schieramenti potrebbe a sua volta essere suddiviso in relativi sotto-insiemi, e via dicendo. Insomma, la situazione è decisamente più complessa di così. Ad ogni modo, così come sostenuto dallo stesso Aristotele nel Protreptico, tanto i sostenitori che i denigratori della filosofia costituiscono a ben vedere due facce della stessa medaglia: “Chi pensa sia necessario filosofare deve filosofare e chi pensa non si debba filosofare deve filosofare per dimostrare che non si deve filosofare; dunque si deve filosofare in ogni caso o andarsene di qui, dando l'addio alla vita, poiché tutte le altre cose sembrano essere solo chiacchiere e vaniloqui.” Al di là degli espedienti logico-retorici di una tale affermazione, è decisamente degno di nota constatare come il problema sia decisamente antico. Consapevoli o meno del peso storico di una tale questione, ciò dovrebbe spingerci a riflettere quantomeno su un punto fondamentale: ebbene, dopo più di duemila anni, la filosofia non è stata ancora messa da parte, come auspicato da alcuni; tuttavia, non le si è neppure riconosciuto alcun ruolo di carattere “ufficiale”, continuando così a considerarla (salvo rare eccezioni) come una disciplina per lo più fine a se stessa. Ma forse è proprio in questo peculiare aspetto che sta il suo punto di forza. Heidegger non aveva dubbi, esprimendosi con queste parole nell’Introduzione alla Metafisica:
“È quanto mai esatto e perfettamente giusto dire che ‘la filosofia non serve a niente’. L’errore è soltanto di credere che, con questo, ogni giudizio sulla filosofia sia concluso. In realtà resta ancora da fare una piccola aggiunta sotto forma di domanda: se cioè, posto che noi non possiamo farcene nulla, non sia piuttosto la filosofia che in ultima analisi è in grado di fare qualcosa di noi, se appena c’impegniamo in essa.” Certo, i progressi compiuti dalla scienza e dalla tecnica sono stati e continuano ad essere enormi; il cosiddetto “progresso” sembra procedere in maniera sempre più veloce e inarrestabile. La crescita sembra così assumere un carattere esponenziale. Apparentemente, non si può certo dire che non sia così. Eppure, vi è una domanda che troppo spesso sfugge ad ogni discussione: progresso, crescita, innovazione. Ma verso dove? A quale scopo? A beneficio di chi? Quali sono le dinamiche che ne determinano genesi e sviluppi? E soprattutto, a quale prezzo? Ebbene, la metodologia con la quale ci apprestiamo a discutere intorno a ciò che comunemente definiamo “progresso” sembrerebbe non riuscire a porsi tali questioni scavando abbastanza in profondità. Tutto resta sospeso sull’orlo della superficie. Perché scavare a fondo è un processo lungo e faticoso, che spesso costringe l’inquilino a demolire le stesse fondamenta della casa in cui abita. La filosofia cela al suo interno questa duplice natura, distruttrice e creatrice. Prima ancora di confrontarsi col mondo, essa si confronta con se stessa, senza indugio. Non si tratta dunque di porre la filosofia al servizio di questo o quel determinato sapere (come ben aveva sottolineato Heidegger); al contrario, si tratta invece di leggere e analizzare criticamente questo o quel determinato sapere in chiave filosofica, cioè vagliandone di volta in volta le stesse fondamenta, i contenuti, le implicazioni e gli “impatti sul mondo”, sempre al passo col proprio tempo e ben consapevoli del carattere intrinsecamente mutevole dei fenomeni umani. Un processo indubbiamente faticoso ed eterno, ma oggi più che mai necessario.
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