La malattia oncologica in età pediatrica
- Aurora Maria Del Brocco
- 7 apr 2023
- Tempo di lettura: 3 min
Ogni anno, in Italia, circa 1400 bambini (0-14 anni) si ammalano di tumore ma grazie ai numerosi progressi medici, i tassi di guarigione superano l’80% e la percentuale di mortalità è in forte calo. Tuttavia, le neoplasie rimangono la seconda causa di morte, dopo gli incidenti, nei bambini sotto i 14 anni d’età.
L’esperienza psicologica del tumore pediatrico
Qualsiasi malattia infantile sembra un evento surreale e ciò è vero soprattutto per quella oncologica che rappresenta, difatti, un’esperienza fortemente traumatica e sconvolgente. Essendo questa una malattia potenzialmente mortale, ricevere una diagnosi di tumore è ciò che la maggior parte di noi teme. Eppure, questa esperienza colpisce un numero significativo di bambini nel nostro Paese, e con essi molte famiglie: genitori, fratelli, nonni e parenti si ritrovano ad affrontare una prova esistenziale sconvolgente, fatta di timori e di coraggio, di sconforto e di speranza, di sconfitte e di successi. Ad ogni modo, un calvario non di breve durata che colpisce improvvisamente come un fulmine al ciel sereno, rappresentando un evento stressante per l’intero nucleo familiare e scatenando, così, una crisi globale che costringe la famiglia ad affrontare una realtà traumatizzante.
Un bambino malato è prima di tutto un bambino
La malattia oncologica può costituire un’interruzione del normale percorso di crescita e di sviluppo fisico, cognitivo e sociale del bambino. Non dimentichiamoci che l’età pediatrica solitamente è fatta di gioco, di svago e di relazioni con i pari; tali aspetti, nel caso di una malattia grave come quella oncologica diventano purtroppo limitati o in alcuni casi addirittura inattuabili. Il bambino viene, improvvisamente e drasticamente, catapultato in una realtà nuova e deve fronteggiare numerose sfide: il cambiamento della vita quotidiana, l’ospedalizzazione prolungata, le procedure mediche invasive, i cambiamenti corporei, l’inserimento in un contesto sconosciuto e le limitazioni della propria autonomia. Tutto ciò riduce anche le più semplici attività quotidiane e scatena intense paure nel piccolo paziente e tra tutte, soprattutto, la paura della morte di per sé distaccata dal mondo infantile.

È giusto che il bambino sia informato della sua malattia?
La risposta è sì. La conoscenza della malattia può facilitare il superamento del trauma ad essa connesso. Parlare del tumore al bambino e spiegargli cosa sta succedendo è senza dubbio un compito estremamente difficile e delicato, ma che deve essere affrontato correttamente e necessariamente per poterlo sostenere e rassicurare durante l’intero percorso oncologico. Il bambino in quanto protagonista della malattia ha il diritto di essere a conoscenza del proprio stato di salute; in tal senso «la verità è un’atmosfera di scambio, di ascolto e di rispetto per il bambino e per i suoi bisogni». (Sourkes, 1999)
La più grande difficoltà nel comunicare la diagnosi di tumore ad un bambino riguarda il “cosa” dire ma ancor di più il “come” dirlo e con quanti e quali dettagli. La comunicazione della diagnosi e la spiegazione della malattia devono avvenire con gradualità. È necessario, infatti, fornire informazioni che siano adeguate all’età del bambino, al tipo di tumore, alla fase di malattia, al suo background culturale e al suo sistema familiare.
Soprattutto con i bambini più piccoli si ricorre spesso alla bugia, attribuendo la malattia a un’incidente, nel caso di un tumore cerebrale ad esempio: «sei caduto e hai picchiato la testa».
Purtroppo, però, i bambini percepiscono la paura intorno a loro, a partire dai volti dei genitori, dall’ambiente ospedaliero e dagli altri piccoli pazienti ricoverati. Pertanto, negare la malattia grave non va a lenire la preoccupazione ma piuttosto confonde il bambino, attiva in lui immaginazioni negative ed aumenta l’angoscia, scatenando isolamento e incertezza. Al contrario, una comunicazione aperta, onesta e veritiera, adattata alle caratteristiche e alle esigenze del bambino, consente una maggiore cooperazione e accettazione delle procedure mediche e della condizione di ospedalizzazione prolungata.

L’attuale sfida in oncologia pediatrica è certamente quella di guarire i pazienti, ma allo stesso tempo, non si vuole solo curare ma si vuole soprattutto “prendersi cura” del bambino in maniera globale, garantendo una buona qualità di vita durante l’intero percorso oncologico – soprattutto nella fase dell’ospedalizzazione – affinché il bambino possa proseguire verso il suo normale sviluppo psico-fisico.
«Quando curi una malattia puoi vincere o perdere. Quando ti prendi cura di una persona, vinci sempre!» (Patch Adams).

Fonti bibliografiche:
Adduci A., Poggi G., (2011), I bambini e il tumore. Strategie di supporto in ambito clinico,
familiare e scolastico, Franco Angeli, Roma.
Axia V. (2004), Elementi di psico-oncologia pediatrica, Carocci, Roma.
Massaglia P., Bertolotti M. (1999), Psico-oncologia pediatrica. II. Aspetti particolari, in G. Lovera, Il malato tumorale. Per un’umanizzazione dell’assistenza, Edizioni Medico Scientifiche, Torino.
Sourkes, B.M. (1999). Il tempo tra le braccia: L’esperienza psicologica del bambino affetto da
tumore. Milano: Raffaello Cortina Editore.
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