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Istruzione in Italia

  • Filippo Vitali
  • 23 ott 2022
  • Tempo di lettura: 3 min

Anteprima: Tagli all’istruzione, le tre conseguenze dirette: basso numero di laureati, insegnanti sottopagati e mancanza di evoluzione nei metodi di insegnamento.


Tra gli argomenti più discussi dalle televisioni e dai giornali vi è sicuramente quello riguardante l’istruzione in Italia. Andando ad analizzare alcuni dati si evince quanto il nostro Paese sia rimasto indietro rispetto agli altri paesi europei. Per ogni studente, si spendono in media 8514 euro, contro i 10mila delle altre grandi economie europee; si tratta perciò del 15% in meno (FONTE: Eurostat). Scuola e università gravano sulla spesa pubblica di una percentuale pari all'8%, mentre la media europea è del 9,9%.

C’è una piccola nota positiva che emerge dal PNRR assegnato al nostro Paese: una buona parte dei fondi stanziati verranno utilizzati proprio per colmare questo divario con gli altri membri UE; ovviamente, gli effetti derivanti da questa operazione saranno visibili tra qualche anno. Tornando al presente, la situazione può definirsi non delle più rassicuranti. La formazione scolastica ed universitaria è la colonna portante della ricchezza di un paese e, quindi, della qualità di vita di una nazione.

Ai dati già citati, se ne aggiunge un altro: l’Italia detiene il primato, insieme alla Polonia, di nazione con minor numero di laureati, pari al 10,8%, un terzo di quelli francesi. Tagli e riduzioni sempre più consistenti all’istruzione hanno, inoltre, portato ad una difficoltà ad effettuare il passaggio studio-mondo del lavoro, il tutto accompagnato da una fortissima componente psicologica di “disinnamoramento” nei confronti dello studio da parte dei giovani italiani. Da qui nasce una nuova problematica, quella relativa ai “NEET” (not in education, employment and training): ragazzi tra i 15 e i 29 che non studiano né lavorano.

Una grande parte di coloro che conseguono una laurea in Italia emigra all’estero; i “cervelli in fuga” sono stati circa 31mila su 7,5 milioni di laureati. Per ogni studente che decide di uscire dal Bel Paese, l’Italia perde circa 138mila euro. Per fare ancora un confronto, in Danimarca gli studenti universitari vengono addirittura pagati per sostenere gli studi; si tratta ovviamente di un caso che possiamo definire al limite, ma serve ad inquadrare appieno la situazione nostrana e per mettere in luce quanto siamo lontani dall’essere inclusi tra i “migliori”.

Il rallentamento dello sviluppo e dell’efficacia dell’istruzione è influenzato anche dal basso stipendio dei nostri insegnanti. I docenti italiani di scuola superiore percepiscono, in media, un salario minimo annuale lordo di 26 114 euro, a fronte dei circa 58mila in Germania (FONTE: rapporto Eurydice 2021). In 12 paesi (Bulgaria, Estonia, Irlanda, Grecia, Croazia, Lettonia, Ungheria, Polonia, Portogallo, Romania, Slovenia e Montenegro) tutti gli insegnanti all’inizio della carriera hanno lo stesso stipendio indipendentemente dal livello della scuola di istruzione in cui insegnano. Nel resto, ci sono differenze salariali tra i livelli di istruzione, generalmente legate alle differenze nei requisiti minimi di qualificazione (che spesso sono più bassi di quelli necessari in Italia), a volte minime e a volte sostanziali. Da segnalare che in Italia gli insegnanti hanno bisogno di una significativa anzianità di servizio per raggiungere aumenti di stipendio piuttosto modesti; infatti, gli stipendi iniziali degli insegnanti possono aumentare di circa il 50% solo dopo 35 anni di servizio. Tra le altre problematiche di cui si sente spesso parlare vi è quella legata ai programmi di studio troppo obsoleti e teorici. La principale causa è da attribuire ad uno scarso impegno orario annuo dei docenti italiani rispetto alla media Ocse (primaria: 726 ore Italia e 805 Ocse; secondaria I grado: 594 ore Italia e 704 Ocse; secondaria superiore: 594 ore Italia e 663 Ocse. Il confronto è circoscritto alle sole ore di insegnamento, con esclusione di altri orari di servizio).

Dunque, a seguito dei dati riportati, si riscontrano tre grandi problematiche generate dai tagli all’istruzione: basso numero di laureati, insegnanti sottopagati e mancanza di evoluzione nei metodi di insegnamento.


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