Cronache di un'avventura lontana
- Aurora Di Pofi
- 17 ago 2022
- Tempo di lettura: 4 min
Il mio nome è Aurora Di Pofi, ho ventidue anni, studio scienze della formazione primaria e lavoro come insegnante nella scuola primaria paritaria Santa Giovanna Antida. Da tutta la vita sognavo di vivere un’esperienza di contatto con la cultura africana, i bambini sono la mia passione più grande e ho sempre sentito l’esigenza di comprendere cosa significhi essere un bambino nelle diverse parti del mondo, quando non hai a disposizione tutte le cose di cui necessiti, quando i tuoi diritti non vengono minimamente presi in considerazione. Per questo ho deciso di partire per il Kenya e a Luglio 2022 ho preso il mio volo per raggiungere Nairobi.
Ho soggiornato per un mese nella struttura Alice Village dell’ONLUS Alice for Children. Qui vivono 70 bambini tra i 3 e i 17 anni che vengono inseriti nel programma grazie all’intervento di assistenti sociali. È stato come innamorarsi a prima vista, i bambini sono meravigliosi e in continua ricerca di affetto ed attenzioni a causa dei loro trascorsi difficili. La mattina vengo svegliata dalle loro urla e risate. Passano la notte in dei dormitori e sono divisi in gruppi in base al sesso e all’età. A ciascun gruppo è affidata una “mamma” che vive qui con loro e si prende cura delle loro necessità. Durante il giorno svolgono varie attività, all’interno dell vilaggio. Lavano i loro vestiti e le loro stanze da soli, si stanno allenando per un torneo di calcio femminile, fanno giardinaggio e lezioni di danza. Noi li sosteniamo nelle varie attività e ho tenuto alcune lezioni di informatica sull’utilizzo dei computer perché hanno appena aperto qui per loro un laboratorio con dieci computer nuovi. A pranzo e a cena noi volontari mangiamo nella cucina della casetta organizzata per noi. I piatti ci vengono preparati dai ragazzi che studiano nell’istituto alberghiero sostenuto dall’associazione. Ho avuto la possibilità di assaggiare uno dei piatti tipici kenyoti: Ugali. Una pietanza simile alla polenta realizzata con farina di mais e acqua.
I ragazzi hanno un modo di danzare meraviglioso e un senso del ritmo unico, ho provato ad imparare qualche passo e loro erano molto divertiti dalle mie scarse abilità.
Adorano intrecciare i miei capelli, forse perché loro li hanno tutti rasati e toccare tutti i miei bracciali. Sono curiosissimi di imparare parole in italiano e di conoscere dettagli sul nostro stile di vita.
A partire dalla seconda settimana ci siamo mossi verso due istituti scolastici negli slum di Dandora e Korogocho.
Qui ho avuto la possibilità di fare delle piccole lezioni ai bambini, in classi sovraffollate a volte con più di 80 bambini seduti tutti assieme nei banchetti di legno. Nessuno di loro ha dei colori, solo una piccola matita e due penne. Per fortuna li ho portati da casa e cosi li distribuisco, uno ciascuno e loro li condividono in un eco continuo di “Teacher, colour Blue… Teacher colour Green”. Racconto le fiabe europee: Cenerentola, Cappuccetto Rosso.. e loro ascoltano, rapiti, per poi fare dei disegni stupendi di una bambina con mantellino rosso e pelle nera. La ricreazione è un chaos assurdo, tutti i bambini della scuola vogliono darmi la mano e si spintonano per raggiungermi, per sfiorarmi la pelle, i capelli così diversi dai loro. Sono disciplinati durante le lezioni, rispondono in coro e in maniera educata, come piccoli soldatini. Nel corso delle settimane l’associazione ha accompagnato me e le altre volontarie a visitare delle famiglie nelle loro abitazioni dello slum. Una mamma e sei bambini ci accolgono tra le pareti di lamiera di una casa senza pavimento, con due stanze separate da un lenzuolo. Ci fanno accomodare nel loro salottino, che è anche cucina e sala da pranzo. I fornelli non ci sono, il gas costerebbe troppo, così cucinano in maniera rudimentale utilizzando grandi pietre.

Non hanno un bagno con lo scarico, ma ci accolgono comunque a braccia aperte, senza alcuna vergogna. I bambini dormono tutti e sei nello stesso letto, solo tre di loro vanno a scuola. La famiglia non ha uno stipendio fisso, sono venditori ambulanti di vestiti di seconda mano, che non sempre riescono a vendere. Eppure non andrebbero via, da quella baracca, neanche se vincessero la lotteria, perché per loro, provenienti da una zona rurale, è un traguardo essere riusciti a trasferirsi in città e quelle quattro lamiere arrugginite rappresentano un salto di qualità. Così i giorni sono passati, tra lezioni la mattina, passeggiate nello slum, tra spazzatura sparsa in giro e caprette al pascolo, bancarelle che vendono rifiuti di ogni genere e bambini che giocano a biglie in mezzo al fango. I pomeriggi passati al villaggio con quei 60 bambini dai nomi impossibili da ricordare, che alla fine ho imparato uno per uno, loro che sgranano gli occhi perché io da bambina ho avuto una palla tutta mia, loro che di palle ne hanno forse quattro, da condividere con tutti. Sono tornata a casa con una busta piena zeppa di disegni, letterine, piegate mille volte su se stesse, col cuore pieno di storie, volti, risate e odori, canzoni da aggiungere alla mia playlist preferita, che basta farle partire per ritrovarmi lì, seduta su un prato pieno di polvere, circondata da anime stupende, che provano a parlare in italiano, che chiedono mille domande, che mi insegnano nuovi giochi, filastrocche, che mi abbracciano come se mi conoscessero da una vita.


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